C’è una data che resterà nella storia della sanità italiana: 7 maggio 2025.
Quel giorno, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la legge che riconosce l’obesità come malattia cronica, progressiva e recidivante. Un passaggio che, a prima vista, potrebbe sembrare solo formale. Ma non lo è affatto.
Per la prima volta, lo Stato italiano smette di considerare l’obesità come un semplice fattore di rischio o una questione “di scelte personali”. E la definisce per quello che è: una condizione clinica complessa, con basi biologiche, metaboliche, psicologiche e sociali.
Il disegno di legge, chiamato Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità (A.C. 741), apre scenari nuovi. Le persone affette potranno accedere a percorsi di diagnosi e trattamento all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), senza più dover affrontare percorsi disomogenei o, spesso, a proprie spese.
Un fondo dedicato — 700 mila euro nel 2025, 800 mila nel 2026, fino a 1,2 milioni l’anno dal 2027 — sosterrà campagne di prevenzione, centri specializzati e la formazione del personale sanitario. Nascerà anche un Osservatorio Nazionale sull’Obesità, con il compito di monitorare i dati e orientare le politiche di salute pubblica.
Il peso delle parole, e quello della scienza
Chi lavora in medicina lo sa: definire qualcosa “malattia” cambia tutto.
Significa riconoscere che non basta dire “mangia di meno e muoviti di più”.
Negli ultimi vent’anni, la ricerca scientifica ha chiarito che l’obesità è molto più di un eccesso di peso. È una disfunzione del tessuto adiposo, un processo infiammatorio cronico di basso grado, che altera ormoni, metabolismo e risposta immunitaria.
Lo scrivono ormai centinaia di studi internazionali, tra cui le revisioni pubblicate su Nature Reviews Endocrinology e Diabetes Care. E già dal 2013 l’American Medical Association aveva compiuto questo passo, definendo l’obesità una malattia cronica e multifattoriale. L’Italia arriva tardi, ma arriva con una legge vera — non una semplice raccomandazione.
Una tutela, non un’etichetta
C’è un’altra parte della storia che vale la pena raccontare.
Questo riconoscimento non riguarda solo la medicina, ma anche la dignità.
Chi convive con l’obesità vive spesso un doppio peso: quello fisico e quello sociale. Lo stigma, il giudizio, la discriminazione nei luoghi di lavoro, negli ospedali, persino nelle conversazioni quotidiane.
La nuova legge, pur non potendo cambiare i pregiudizi con un colpo di penna, invia un messaggio chiaro: non è una colpa, è una malattia che merita cura e rispetto.
Le strutture sanitarie saranno obbligate a garantire percorsi dedicati, con équipe multidisciplinari — medici, dietisti, psicologi, fisioterapisti. E sarà prevista anche la formazione del personale sanitario per ridurre i bias e migliorare la qualità dell’assistenza.
Quello che ancora manca
Naturalmente non è tutto risolto.
Il riconoscimento giuridico è solo il primo passo, e i problemi pratici non mancano.
Le Regioni dovranno adattare la legge, definire i criteri di accesso, i protocolli di cura, e assicurare che la presa in carico sia uniforme sul territorio. Ma si sa: l’Italia è lunga e diseguale, e il rischio di differenze regionali è concreto.
Poi c’è la questione dei nuovi farmaci anti-obesità, come gli agonisti del GLP-1. Efficaci, sì, ma costosi. Saranno accessibili a tutti o solo a una parte dei pazienti?
E la prevenzione? Perché se l’obesità è una malattia cronica, allora la scuola, l’ambiente urbano, il lavoro, la pubblicità alimentare — tutto diventa parte della terapia.
Un segnale forte per la salute pubblica
L’Italia è il primo Paese al mondo ad aver inserito per legge l’obesità tra le malattie croniche riconosciute dal sistema sanitario. Un primato che, per una volta, ci pone in anticipo sulla media europea.
Non è solo una questione di sanità, ma di cultura. Perché cambia il modo in cui guardiamo alle persone, alle loro fragilità, al diritto di essere curate senza colpa.
Come ha dichiarato la Società Italiana dell’Obesità, «questa legge rappresenta una svolta epocale: riconosce dignità a milioni di persone e apre la strada a politiche di prevenzione finalmente strutturate».
Forse, d’ora in poi, smetteremo di parlare di “colpa” e cominceremo a parlare di “cura”.

