La conoscevamo per la palestra, certo. Per gli allenamenti ad alta intensità, per il recupero muscolare, per i bodybuilder che svuotano scoop bianchi in shaker da litro. Ma oggi la creatina cambia abito: sta entrando nei laboratori di psichiatria e neuroscienze con una missione più audace. Supportare il cervello, non solo i muscoli.
Una recente ondata di studi suggerisce un potenziale inatteso: la creatina potrebbe ridurre i sintomi della depressione, migliorare le funzioni cognitive nei soggetti privati del sonno e — cosa ancor più sorprendente — potenziare gli effetti dei trattamenti convenzionali come gli SSRI o la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Insomma, un integratore vecchio… con una nuova storia.
Il trial che ha riacceso l’interesse
Uno studio clinico durato otto settimane ha coinvolto pazienti affetti da depressione maggiore, i quali assumevano 5 grammi di creatina al giorno insieme alla loro terapia standard (SSRI o CBT). I risultati? Risposte più rapide e miglioramenti clinicamente più significativi rispetto al gruppo di controllo. Una differenza non da poco.
Questi dati sono stati recentemente pubblicati in Cureus (PMID: 40215588), dove gli autori hanno valutato l’effetto dell’aggiunta di creatina in soggetti con depressione resistente al trattamento, osservando una riduzione del punteggio sulla scala PHQ-9 già a partire dalla quarta settimana.
Ma perché proprio la creatina?
Perché agisce esattamente dove serve. La creatina è un donatore di gruppi fosfato ad alta energia, e contribuisce alla rigenerazione dell’ATP — la moneta energetica della cellula. Non è un dettaglio secondario: nella depressione, si osservano spesso disfunzioni mitocondriali e alterazioni del metabolismo cerebrale. Rafforzare l’efficienza bioenergetica delle cellule nervose può significare, in termini semplici, aiutare il cervello a “rimettersi in moto”.
Non a caso, studi precedenti avevano già individuato un legame tra basso apporto alimentare di creatina e maggiore rischio di depressione. In una coorte di oltre 22.000 individui, un basso consumo dietetico era associato a un rischio significativamente maggiore di sintomi depressivi.
Il paradosso cerebrale: lento assorbimento, ma grandi potenzialità
Rispetto al muscolo scheletrico, però, il cervello è più lento ad assorbire creatina. Non solo: è meno efficiente nell’immagazzinarla. Questo significa che le strategie nutrizionali che funzionano nello sport non sono direttamente trasferibili alla salute mentale. Potrebbero servire dosaggi più elevati o protocolli più prolungati per vedere i benefici a livello neuropsichiatrico.
Ecco perché si aprono nuovi scenari: creatina come “multivitaminico cerebrale“, da assumere con regolarità e non solo come supporto acuto. In modelli di deprivazione di sonno, ad esempio, la supplementazione ha migliorato le performance cognitive e attenuato i deficit energetici neuronali (vedi studio).
Da supplemento sportivo a neuromodulatore?
La domanda ormai è sul tavolo. E mentre la creatina si scrolla di dosso l’etichetta da “integratore per culturisti”, il suo futuro sembra più legato alla salute mentale e alla neuroplasticità che all’estetica muscolare.
Non è ancora chiaro se sarà inserita nei protocolli standard per il trattamento della depressione, ma una cosa è certa: il suo profilo di sicurezza, il basso costo e la base fisiologica su cui agisce la rendono una candidata molto più interessante di tanti nootropi di moda.
Come sempre, non è una panacea. Ma oggi, supportata da pubblicazioni peer-reviewed e da un’attenzione crescente nella comunità clinica, la creatina si sta trasformando in qualcosa di più: una molecola ponte tra energia cellulare e salute mentale.
Bibliografia
Rocha, L. L., et al. (2024). Creatine Augmentation in Treatment-Resistant Depression: A Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Clinical Trial. Cureus, 16(1): e71638.
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https://doi.org/10.1111/j.1399-5618.2007.00442.x