Quando una legge modifica la percezione collettiva di una condizione clinica, non è mai un semplice passaggio amministrativo. Nel caso dell’obesità, ciò che è accaduto in Italia nel 2025 ha il sapore di un cambio di paradigma. Si è passati da una narrazione spesso semplificata — talvolta crudele — a un riconoscimento istituzionale che ammette la complessità biologica di questa condizione. Una complessità che medici e ricercatori conoscono bene, ma che per molto tempo non ha trovato spazio né nelle politiche sanitarie né nel dibattito pubblico.
Un riconoscimento che rompe gli schemi
Il Disegno di Legge Pella ha introdotto un concetto semplice nella sua forma, ma enorme nelle conseguenze: l’obesità è una malattia cronica, progressiva e recidivante. Non un “eccesso di peso”, non un insieme di cattive abitudini, ma una vera patologia che richiede presa in carico, diagnosi precoce, follow-up e interventi terapeutici strutturati.
Dentro questa definizione convivono elementi che la comunità scientifica discute da anni: la disfunzione del tessuto adiposo, la progressione infiammatoria, la resistenza insulinica, gli scompensi endocrini. E poi la parte più sottovalutata: la recidiva. Il fatto che il peso tenda a risalire nonostante gli sforzi non è un difetto di volontà, ma un segnale biologico. Il corpo, quando entra in un percorso di perdita ponderale, attiva meccanismi di compensazione ormonale e metabolica che puntano a riportarlo allo “stato precedente”. La letteratura scientifica ha dimostrato questo fenomeno in modo inequivocabile.
Il riconoscimento legislativo, per la prima volta, include esplicitamente la natura ricorrente della malattia.
Un’Italia che cambia il suo approccio sanitario
Dal punto di vista pratico, la legge apre scenari che fino a poco tempo fa sembravano lontani. L’inserimento dell’obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza permetterà — una volta approvati i decreti attuativi — di garantire ai pazienti un percorso di cura multidisciplinare. Non solo la visita nutrizionistica, ma un vero team con endocrinologo, psicologo, dietista, esperto di attività fisica e, nei casi necessari, il chirurgo bariatrico.
È l’idea di “presa in carico” che cambia. Non un intervento spot, non la dieta suggerita in ambulatorio e poi lasciata alla buona volontà del paziente, ma un follow-up continuo. Perché l’obesità è cronica e richiede monitoraggio costante, come avviene per altre malattie metaboliche.
La legge istituisce anche un Osservatorio Nazionale, che avrà il compito di raccogliere dati, monitorare trend, fornire indicazioni aggiornate e contribuire alla comprensione dei determinanti genetici, epigenetici e ambientali dell’obesità. È forse la prima volta che il nostro Paese riconosce la necessità di studiare l’obesità come fenomeno biologico complesso e non come esito di scelte individuali.
La dimensione biologica dell’obesità: una malattia sistemica
La definizione giuridica ora coincide, finalmente, con le evidenze scientifiche. L’obesità si sviluppa quando il tessuto adiposo perde la sua capacità di funzionare correttamente. Negli studi istologici si osservano adipociti ingranditi, poveri di ossigeno, incapaci di gestire i lipidi in modo fisiologico. Da qui parte un processo infiammatorio costante, con rilascio di citochine — IL-6, TNF-α, MCP-1, tra le più note — che coinvolge fegato, muscoli, sistema cardiovascolare.
A questo si aggiunge la resistenza insulinica, spesso già presente prima che il peso aumenti in modo evidente. È il famoso “circolo vizioso”: più aumenta la resistenza dell’organismo all’insulina, più diventa difficile gestire il glucosio e i lipidi, più il corpo tende ad accumularne.
In tutto questo scenario gioca un ruolo decisivo anche il sistema nervoso centrale. L’ipotalamo, come mostrano gli studi di neuroimaging, può presentare microinfiammazione cronica nelle persone con obesità, alterando la percezione della fame e della sazietà.
E poi, l’elemento più spesso ignorato: il microbiota intestinale. La composizione batterica delle persone con obesità mostra un rapporto Firmicutes/Bacteroidetes frequentemente alterato, minore diversità microbica e una maggiore tendenza alla produzione di metaboliti pro-infiammatori.
Tutto ciò, messo insieme, si traduce in una malattia vera e propria, non in un comportamento.
Terapie moderne tra nutrizione, farmacologia e interventi integrati
Il riconoscimento legislativo non è solo una questione di etichette: permette finalmente di utilizzare le terapie più moderne con criteri chiari e un quadro normativo solido.
La dietoterapia, che resta centrale, oggi può avvalersi di protocolli più avanzati e personalizzati. Modelli a forte impatto metabolico — come alcune strategie chetogeniche cliniche — vengono già utilizzati nel trattamento dell’obesità grave sotto supervisione specialistica. La letteratura sta mostrando come, in soggetti selezionati, possano migliorare rapidamente la sensibilità insulinica e ridurre i marker infiammatori.
Accanto alla nutrizione, la farmacoterapia sta vivendo un momento di grande rivoluzione. Gli agonisti del GLP-1, e ancora di più i farmaci combinati GIP/GLP-1, hanno cambiato il panorama terapeutico mondiale. Riduzione dell’appetito, rallentamento dello svuotamento gastrico, miglioramento del profilo glicemico e una perdita di peso sostenuta nel tempo: sono strumenti clinici, non scorciatoie.
La legge permetterà — speriamo — percorsi di accesso più equi e uniformi in tutta Italia.
Tra speranza e criticità: cosa manca ancora?
Il quadro non è perfetto, e sarebbe ingenuo pensarlo. Gli stanziamenti economici iniziali sono limitati rispetto all’enorme numero di persone coinvolte. L’inserimento nei LEA richiede decreti attuativi e un coordinamento preciso con le Regioni, che spesso procedono a velocità diverse.
Resta delicato anche il tema della rimborsabilità dei nuovi farmaci. La loro efficacia è fuori discussione, ma i costi elevati impongono criteri rigorosi e un’analisi attenta della sostenibilità.
Infine — ed è un punto cruciale — la prevenzione. L’obesità non nasce solo nell’età adulta: una parte importante delle traiettorie metaboliche si costruisce nell’infanzia. Senza politiche educative solide, programmi scolastici efficaci e un miglioramento dell’offerta alimentare, si rischia di curare molto e prevenire poco.
Un nuovo modo di vedere e trattare l’obesità
Eppure, nonostante tutto, questo riconoscimento segna un prima e un dopo. Non riguarda solo le tutele, ma il linguaggio. Finalmente si dice con chiarezza che l’obesità non è una colpa. È una malattia. Con meccanismi biologici precisi, con ricadute sistemiche importanti, con un impatto psicologico che spesso viene ignorato.
La medicina italiana, da oggi, ha lo spazio normativo per trattarla come tale. E il paziente, forse per la prima volta, può sentirsi parte di un percorso terapeutico e non di un giudizio.
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